lunedì 2 dicembre 2013

L'omosessualità nello sport e la non-notizia di essere gay.

Il mio idolo adolescenziale ha appena pubblicato un video in cui si dichiara gay e felice.
E' Tom Daley, ha un anno meno di me ed è un tuffatore olimpico salito alle luci della ribalta (e scalando le pareti del mio cuore) ai Mondiali di Nuoto di Roma 2009, quand'è diventato campione del mondo dalla piattaforma dei 10 mt alla veneranda età di quindici anni.


In questo momento tutti ne parlano, riaffacciandosi sull'annoso tema dell'omosessualità nello sport.
Un'intervista ad uno sportivo sì e l'altra pure, il giornalista di turno non manca di chiedere se esistono i gay nel mondo agonistico, perché è così difficile fare coming out e soprattutto perché sia ancora un argomento tabù.
Io che sportiva non lo sono mai stata faccio fatica a capirlo, ma ci provo.

Partiamo dal presupposto che credo fermamente nella Scala Kinsey e che di conseguenza trovo deplorevole, insensato e assolutamente ingiustificato giudicare qualcuno in base al suo orientamento sessuale. Il merito dello studioso Alfred Kinsey è quello di essere stato uno tra i primi a sottolineare la bellezza delle particolarità e delle diversità anche nella sfera sessuale dell'uomo, andando a "catalogarla" in base alle esperienze, agli stimoli, alle sfaccettature. In poche parole, egli introdusse una scala che divideva in sette livelli le tendenze sessuali, sottolineando le variabili dinamiche dei comportamenti umani.

"Il mondo non è diviso in pecore e capre. Non tutte le cose sono bianche o nere. È fondamentale nella tassonomia che la natura raramente ha a che fare con categorie discrete. Soltanto la mente umana inventa categorie e cerca di forzare i fatti in gabbie distinte. Il mondo vivente è un continuum in ogni suo aspetto. Prima apprenderemo questo a proposito del comportamento sessuale umano, prima arriveremo ad una profonda comprensione delle realtà del sesso."
(da Il comportamento sessuale dell'uomo di Alfred Kinsley)

Gli stimoli, appunto, sono proprio ciò che in questi casi si tende a nascondere e a soffocare sotto montagne di ipocrisia e falso perbenismo.
Quello che io proprio non capisco è perché per un calciatore o una pallavolista dire di essere gay dovrebbe essere più difficile che per un idraulico o per una professoressa.

Ho googlato un po' prima di scrivere questo post, e in effetti pare che un motivo ci sia. Il mondo dello sport, nonostante tutto, sembra resti ancora fortemente omofobo, in particolar modo quello italiano. (Mi viene in mente l'importanza che il fascismo diede allo sport e alla sua componente energicamente virile e sana.)
Pare che il tifoso non perdonerebbe un simile affronto proveniente dal suo idolo, pare che le ripercussioni della verità personale possano addirittura diventare pericolose per lo sportivo. (Lo sapevate che la Fifa ha emanato il divieto ufficiale di baciarsi dopo un gol?)

Intanto sono uscite su VanityFair.it delle dichiarazioni a riguardo del pallavolista italiano Gigi Mastrangeloche cito (e linko):
"Credo che in questo ambiente dichiararsi sia più difficile perché chi fa sport spesso fa parte di un gruppo, di una squadra e si ha più paura di essere emarginati e guardati con occhi diversi"
Insomma, pare che l'omosessualità negli sport sia tanto nascosta quanto diffusa, e a conti fatti forse evitare dichiarazioni non richieste potrebbe salvare carriere e pelli dall'ipocrisia italiota doc.
E' anche vero che la maggior parte dei coming out avvengono dopo il ritiro dal professionismo, soprattutto negli sport di squadra, che prevedono la condivisione di spazi comuni per molte ore al giorno (e sembra questa una questione delicata da non sottovalutare).

Quando qualcuno esce allo scoperto, tolta l'eco che si porta dietro, non posso fare a meno di domandarmi se ci sia e quale sia il confine tra la vita pubblica e quella privata, e se fare coming out sia davvero necessario.
Mi rispondo che logicamente no, non è necessario, la stima e l'ammirazione che provo per un atleta se li è guadagnati sul campo (in piscina, o in pista) e non di certo in camera da letto. E di conseguenza e generalizzando, trovo che non sia affatto necessario che nessuno lo debba dire.
Ma praticamente sì, secondo me può essere vitale, soprattutto in una realtà come la nostra. Il perché, però, io non riuscirei mai a spiegarlo nel modo perfetto in cui lo ha fatto l'attore Carlo Gabardini (ve lo ricordate Olmo di Camera Cafè?) in una lettera bellissima a Repubblica dello scorso 31 ottobre - diretta ad un ragazzo gay morto suicida pochi giorni prima a Roma - che riassunta fa più o meno così:
"Essere gay è bellissimo. Essere gay o eterosessuali è assolutamente la stessa cosa. E' come dire biondo, castano, alto, magro, sportivo, tutte quelle cose che ovviamente fanno parte di noi, ma nessuna di esse presa singolarmente ci definisce del tutto. Se tu finalmente ti convinci di essere nella tua squadra del cuore, la più splendente perché meglio definisce i tuoi gusti sessuali, beh, allora che ti frega che — quasi sempre per invidia — quelli di altre squadre ti prendano in giro? Se capisci che fai parte di una squadra, capisci anche — ed è importantissimo — che non sei da solo." 
"Ci si innamora di un essere umano, non di una sessualità. Io mi innamoro di Alessia, di Salvatore, (..) non delle donne o degli uomini, non dei pittori o delle pittrici, e neppure degli scrittori o delle scrittrici. Ma ve lo immaginate nascere in un posto dove ti dicono: tu puoi amare solo le musiciste donna oppure i tabaccai maschi? Non è così. Ci si innamora di chi ci s’innamora."
E finisce, placa, chiarisce e ci mette tutti d'accordo.
"Io della mia omosessualità non parlo mai perché penso che non sia una notizia. Ma se la non-notizia di esser gay, nel momento in cui viene dichiarata da tutti i gay, può salvare anche solo un ragazzo dal proprio proposito di suicidio, beh, allora lo dico: io sono gay."
Ebbene, se oggi Tom Daley non avesse pubblicato questo video, probabilmente le cose non sarebbero cambiate di una virgola. Ma oggi Tom Daley ha preso un cellulare e ha detto a tutti che da questa primavera la sua vita è cambiata radicalmente, perché ha incontrato una persona che lo rende tanto felice e lo fa sentire protetto, e che da quel momento tutto sembra andare bene. Solo dopo aver parlato di felicità e di protezione aggiunge: questo qualcuno è un ragazzo, sì sì, il mio mondo è cambiato, ora esco con un uomo e non potrei mai essere più felice di così. 
Tom non vuole fare speculazione o creare stupidi rumour: preferisce sedersi su un divano e parlare ai suoi fan della sua non-notizia. Voleva essere sicuro che lo sapessero da lui, in questo modo, come da un fratello o da un amico. Poi parla di Olimpiadi, di allenamenti, e sorride. 

Di sicuro le cose stanno cambiando. A partire da Daley, Jason Collins e via via grazie a tutti quelli (sportivi/e o meno) che hanno la voglia e il coraggio di dare al mondo le loro non-notizie. 
Mi piace pensare ad un futuro in cui sia lo stesso dire "sono gay", "gioco a rubgy" o "sono allergico al polline".
Un mondo in cui fa più scalpore un ladro, un violento che due ragazze o due ragazzi che si danno un bacio.

Sono d'accordo con Gabardini quando dice che il problema vero non sono gli omofobi, ma i non-omofobi che non alzano la voce.
Se credete che sia una visione utopica e improponibile, invece di scuotere la testa e dissentire provate anche voi a trovare la voglia e il coraggio di educare i vostri fratelli piccoli o i vostri figli alla tolleranza, seminate la correttezza e il rispetto in loro che, vergini da pregiudizi, sono ancora in tempo per essere persone giuste.

Le persone sbagliate sono quelle che ancora credono lecito giudicare gli altri in base alle emozioni che provano.